Cenni storici

Ultima modifica 14 novembre 2019

La presenza dell'uomo sul territorio di Parabita ha origini remote (80.000 a.c. circa).

Nel 1966, infatti, in una grotta denominata poi "Delle Veneri", furono trovati reperti risalenti in parte al Paleolitico medio, appartenuti all'Homo Sapiens Neanderthalensis (Neanderthal) e in parte al Paleolitico superiore (35.000-10.000 a.c.), appartenuti all'Homo Sapiens-Sapiens (Cro-Magnon), due scheletri acefali (Cro-Magnon 35.000 a.c.) e due statuine (12.000-10.000 a.c.) scolpite in osso di cavallo dell'altezza di 9,6 cm. l'una e 6,7 cm.l'altra, riproducenti donne in stato di gravidanza.

La "Grotta delle Veneri" è uno degli insediamenti archeologici più importanti del Salento, in seguito alla cui scoperta si è potuto avere la certezza della presenza dell'uomo di Neanderthal nel Bacino del Mediterraneo. Il Neanderthal si estinse, forse vinto dalla maggior evoluzione del Sapiens-Sapiens (Cro-Magnon) che, probabilmente, lo costrinse in nicchie sempre più periferiche per poi distruggerlo.

L'antropizzazione fissa della grotta da parte del Cro-Magnon si ebbe sino al 3000 a.c. (età del rame), quando l'evoluzione dell'individuo portò ad una maggiore socialità, ad un crescente bisogno di aggregarsi,ed infine al concetto di tribù. La popolazione della grotta era aumentata, per cui i suoi abitanti si spostarono poco distante da essa (300 m circa) a sud ovest e fondarono un villaggio in periodo neolitico. Sull'asse nord-sud scavando la roccia, situarono una fila di grosse buche al centro e delle altre più piccole ai lati, dentro vi infissero dei pali, su di essi poggiarono una copertura di canne e costruirono capanne.

Ancora oggi, nella zona archeologica del villaggio, sono visibili i segni di questo sistema costruttivo arcaico; la grotta restò come luogo di culto. Lo sviluppo urbanistico e sociale del villaggio si ebbe sino all'anno 1000 a.c. (età del bronzo), quando in una valle situata ad ovest di esso, fu fondata Baubota o Bavota, una forte città Messapica che subì un processo di colonizzazione Greca intorno all'800 a.c. (età del ferro). In seguito i Messapi, popolo tendenzialmente pacifico, dovette ingaggiare guerra contro Taranto e poi, alleati di essa, contro Roma. Bavota fu vinta e assoggettata (272 a.c.-400 d.c.) ma, per la sua importanza, Roma le lasciò una certa autonomia, tanto da poter avere una zecca propria e coniarsi delle monete. Una di queste fu trovata verso la metà del XX sec. nelle campagne fra Parabita e Tuglie, dove sorgeva la città. Bavota subì l'influsso Bizantino grazie ai Monaci Basiliani, giunti nel Salento dopo il 726 d.c.. anno in cui Leone III l'Isaurico, imperatore d'Oriente, diede il via all'Iconoclastia (avversione e distruzione delle immagini sacre).

Nel 927 d.c., benché fosse "forte e turrita", la città non poté sottrarsi alla distruzione dei Turchi. I superstiti si spostarono più a sud e fondarono il nuovo casale, Parabita, sulla cui etimologia si sono fatte varie ipotesi. La scelta del luogo non fu casuale; si realizzarono le prime costruzioni sull'asse che va dalle attuali Piazza della Vittoria (rione Montella o Munteddhra) a Piazza Immacolata perché nel posto vi erano delle grotte basiliane, segno di una precedente antropizzazione del luogo. Gli abitanti erano talmente legati e nostalgici della vecchia città che ne riprodussero la tipologia costruttiva, di cui ci è rimasto un esempio in Via S. Nicola, datato 1200, alle spalle della chiesa dell'Immacolata.

La nuova città aveva una forte cinta muraria su cui si aprivano a nord la "Porta di Lecce"; ad ovest la "Porta di Gallipoli"(luogo oggi familiarmente chiamato "ssutta 'a porta"); a sud una terza porta, di cui si è persa la memoria del nome; ad est la "Porta Falsa". Quest'ultima si chiamava così perché veniva centinata con le dimensioni delle altre ma si realizzava con un'apertura più contenuta per permettere il passaggio dei contadini verso i campi e non quello di mezzi voluminosi. Ciò perché nella cinta muraria, per questioni di sicurezza, si realizzava il minor numero di aperture possibili. Lo Stemma Civico di Parabita presenta due torri con due cipressi, unite da un ponte, l'insieme dominato da un angelo che ha in mano una spada. Anche questa sembra una reminiscenza della vecchia Bavota, in quanto la stessa effigie si trovava su una faccia delle sue monete con l' unica differenza di un uccello al posto dell'angelo.

XIII SECOLO
La storia del nuovo casale non si può scindere da quella dei suoi feudatari. Nel 1231 Parabita era in mano a Bernardo Gentile, che la perse per mano degli Angioini i quali realizzarono il Maniero, la cui facies si trasformò nel tempo in seguito alle ristrutturazioni che gli hanno conferito l'attuale aspetto.

Nel 1269 il Feudo passa al francese Giovanni Di Tillio, figura bieca ed ambigua che arrivava a vessare i suoi stessi vassalli. Alla sua morte il feudo passò ai figli (1280) e poi a Niccolò Adimari (Fiorentino). Nel XIII sec. si realizzò il primo corpo di fabbrica della Chiesa di S. Giovanni Battista, che consisteva nella parte odierna del Transetto (Cappella dell'Addolorata, Presbiterio e Sagrestia); la zona perpendicolare delle navate fu aggiunta a più riprese nei secoli successivi. Sembra che la nuova Chiesa fu costruita nel luogo dove si trovava una chiesetta poi abbattuta, dedicata a S. Biagio, in cui si officiava il rito Greco.

XIV SECOLO
Nel XIV sec. Parabita era dei Sanseverino e probabilmente fu alla fine di questo secolo che venne realizzata la Chiesa di S. Maria dell'Umiltà. Alcuni documenti, infatti, attestano che nel 1405 vi officiavano i Padri Domenicani che erano insediati nell'adiacente Convento.

XV SECOLO
Nel XV sec. era Feudatario Ottino De Caris, poi Giovanni Antonio Del Balzo Orsini. Nel 1484 i veneziani espugnarono Gallipoli, si spostarono all'interno e occuparono anche altri paesi fra i quali Parabita. Testimonianza del loro passaggio è il Palazzo dei Veneziani in Borgo S. Marco, nelle vicinanze della Chiesa Matrice. Sulla facciata del Palazzo vi è una Edicola Votiva dedicata a S. Marco, segno della fede di chi lo aveva abitato. Da Giovanni Antonio il feudo, dopo varie successioni, pervenne nel 1507 a Francesco Del Balzo Orsini, Conte di Ugento, alla corte del quale viveva Antonino Lenio, scrittore parabitano, autore dell' "Oronte Gigante", opera giudicata da Benedetto Croce uno dei più importanti, se non l'unico, contributo del meridione alla letteratura epico-cavalleresca.

Le fortune degli Orsini finirono nel 1528. Tra il 1515 e il 1528, infatti, si era sviluppata in Europa la guerra fra Carlo V di Spagna e Francesco I di Francia che ebbe i suoi focolai anche nel Salento, dove, ad eccezione di Parabita e di Ugento, la maggior parte delle città si era schierata con lo Spagnolo. La battaglia decisiva, disputatasi il 13 Luglio 1528 a Pergolaci, nelle campagne fra Alezio e Gallipoli, vide vincitori gli spagnoli, appoggiati da Pirro Castriota che comandava un piccolo drappello di gallipolini. In seguito a questa disfatta, i Del Balzo Orsini scapparono da Parabita e con essi Antonino Lenio. Dal 1531 il Feudo fu gestito dal Regio Fisco che indennizzava i creditori dei Del Balzo Orsini con la rendita del Castello. Nel 1535 il Feudo fu acquistato da Pirro Castriota, uno degli artefici della vittoria di Pergolaci, senza dubbio il più illuminato Feudatario di Parabita. Egli diede importanza e procurò fama al Paese, lo rivoluzionò dal punto di vista economico, sociale, urbanistico. Organizzò l'attuale Piazza Umberto I come luogo di scambi commerciali e sociali, intervenne sul tessuto urbano facendo ristrutturare il Castello da Evangelista Menga, l'Architetto Copertinese, che operò anche nei manieri di Copertino e di Lecce, che ne rinforzò le difese e, allo stesso tempo, conferì alla struttura un aspetto più di Residenza che di Maniero Difensivo; inoltre commissionò all'Architetto e Scultore Leccese, Gabriele Riccardi, il Portale di Tramontana della Chiesa Matrice e quello di Palazzo Castriota.

XVI SECOLO
Il XVI è il secolo in cui visse Fra Dionisio Volpone, Parabitano Monaco Teatino ed insigne Architetto che, trasferitosi a Bitonto, fu progettista e Direttore dei lavori del Duomo fino all'anno della sua morte giunta nel 1610. Nella Parabita rinascimentale vi fu un fiorire di bei Palazzi:

Palazzo Lopez Y Royo, Palazzo De Ramis, dal bellissimo bassorilievo al cui centro vi è lo stemma del Casato e, ai lati, la deposizione di Cristo a sinistra e l'Annunciazione a destra. Entrambi questi Palazzi furono dimora di nobili famiglie Spagnole, giunte a Parabita in seguito alla vittoria di Pergolaci. Palazzo Vinci, a cui si ha accesso da un bel portale che sembra, per la fattura, essere coevo di quello di Palazzo Castriota, presenta in facciata una bella Loggia bipartita da due archi a tutto sesto, sorretti da un pilastro centrale, tipologia comune a molti Palazzi del centro storico e che ritroviamo nel Palazzo Seclì, nel Palazzo Serino ed in altri. Tutti questi affacciano su stradine strette dove si possono ammirare archi che sorreggono bellissime logge aeree, altri che ornano portali finemente scolpiti, finestre su balconi chiusi da ferri "spanciati" e poi il mignano, elemento architettonico da considerarsi come un timido affaccio aereo sulla strada.

XVII SECOLO
È il secolo del barocco che a Lecce e provincia ha la sua culla. Le costruzioni si arricchiscono di decorazioni sia interne che esterne, i palazzi abbondano di particolari immagini e figure scolpite sulle facciate, sui portali, sulle mensole. È il caso di Palazzo Ardito, sulla cui facies vi è una fuga di mensole fra le quali, precisamente in quella d'angolo, vi è scolpita l'immagine Apotropaica del diavolo. La leggenda dice che fu realizzata per scacciare gli influssi malefici che impedivano la costruzione del balcone, in realtà era un'usanza dell'epoca, come si può notare sulle facciate di molti Palazzi Barocchi, far scolpire questi mascheroni contro i malefici. Alla metà di questo secolo risale la costruzione della Chiesa dell'Immacolata, splendido connubio tra la linearità e la semplicità dell'esterno e la tipica ricchezza di elementi barocchi dell'interno, completamente affrescata.

Nel 1698 si inizia la costruzione della Chiesa del Crocefisso, dai Parabitani meglio conosciuta come Chiesa di San Pasquale. Il Feudo è gestito dai Castriota fino al 1678 e nel 1689 è venduto sub hasta a Domenico Ferrari che lo trasforma in Ducato.

XVIII SECOLO
Nel 1731 a Parabita arrivano gli Alcantarini, un ordine della Congregazione Francescana e realizzano il loro Convento accorpandolo alla Chiesa del Crocifisso, formando un' unica struttura dalle linee semplici ed essenziali così com'era la loro regola. Nel 1732 si costruisce la Chiesa delle Anime. Il Ducato da Domenico Ferrari passa al nipote Giuseppe che nel 1737 ha in dono da Fra Tommaso Cervioni il corpo di San Vincenzo Martire che rimane nella Cappella del Castello fino a quando Lucia La Greca ultima Duchessa di Parabita ne fa dono alla Chiesa Matrice con un atto del 1851. XIX SECOLO Dopo Giuseppe Ferrari, il Ducato passa ai suoi discendenti fino a Lucia La Greca e alla figlia Maria Antonia, le quali, morto Giovanni Maria, rispettivamente figlio e fratello delle due, nel 1853 cedono il Castello al Notaio di Ceglie Raffaele Elia. Lo fanno per motivi fiscali e per paura dell'esproprio, probabilmente a causa delle leggi eversive emanate in questo secolo, con le quali si espropriano i beni degli ex Feudi e molti della Chiesa. Da queste leggi sono travolti il Convento degli Alcantarini e la Chiesa di Santa Maria dell'Umiltà. Verso la metà del Secolo si abbattono le mura, la città è libera di espandersi lungo i quattro assi cardinali.

XX SECOLO
Nel 1911 Raffaele Elia Junior fa ristrutturare il Castello dall'Architetto Adolfo Avena di Napoli. Non avendo figli lo lascia a quelli della sorella Anna che aveva sposato un Ravenna, famiglia che ancora oggi lo abita insieme alla famiglia Villani. Nel 1913 dopo l'abbattimento della vecchia Chiesa staticamente instabile, su progetto dell'Architetto Napoleone Pagliarulo, inizia la costruzione del Santuario della Madonna della Coltura, oggi eretto a Basilica, il cui culto era iniziato molti secoli prima con il ritrovamento del Monolito Basiliano e la costruzione della prima Chiesetta. Nel 1920 il monumento è inaugurato ancora incompleto; l'Abside viene aggiunta nel 1936. Nel 1942 Mario Prayer ne affresca le pareti, nel 1976 si realizza il nuovo Campanile e subito dopo le Cappelle laterali del Santissimo e del Sacro Cuore, che conferiscono alla struttura la definitiva forma a Croce Latina. Ultima opera realizzata in ordine di tempo è il Cimitero Monumentale, esempio pregevole di Architettura, che assieme alla Grotta delle Veneri ha fatto conoscere Parabita nel mondo. Iniziato nel 1972 e finito nel 1982, su progetto dell'Architetto Dr. Paola Chiatante dello studio G.R.A.U. di Roma. Per la sua costruzione sono state sfruttate a pieno le caratteristiche morfologiche del terreno fatte di pendii e dislivelli tipici del Crinale sul quale si adagia Parabita. Sul territorio Parabitano si possono ammirare ancora Masserie, Frantoi Ipogei, Chiese rurali, Case a Corte, molte edicole votive, Cripte (S. Marina, Cirlicì), grotte ("Delle Veneri", "Matonna tu Carottu", "Mazzuchì"), i resti del villaggio neolitico e molte costruzioni di Pietre a secco (Furneddhri). Si possono anche visitare: la sede di Italia Nostra da sempre impegnata in favore del territorio e della sua salvaguardia; l' Archivio storico Parabitano, volto a far conoscere la storia, la cultura, il sociale di questo territorio; il Museo del Vino che custodisce testimonianze e mezzi tipici dei processi di vinificazione, per far conoscere e valorizzare un prodotto tipico del Salento; Palazzo Ferrari, sede della Pinacoteca, in cui si possono ammirare opere di Scuola Napoletana dell'ottocento, intitolata a colui che questa "Quadreria" lasciò al Comune, Enrico Giannelli; infine, unico nel suo genere, il Museo del Manifesto.

Testo a cura di Carmine Ria